Wednesday, March 26, 2014

dalla postfazione di "Operazione Idigov, come @radicalparty sconfisse la Russia di Putin all'Onu

A metà maggio del 2013 la missione permanente cinese presso le Nazioni unite di New York aveva fatto sapere alla diplomazia italiana, all'epoca guidata dall'Ambasciatore Cesare Maria Ragaglini, che la Repubblica popolare di Cina aveva l'intenzione di iscrivere nell’agenda dell’Ecosoc la possibilità di imputare - per la terza volta - al Partito Radicale fatti gravi che avrebbero potuto legittimarne la sospensione o l'espulsione dal sistema Onu. Le accuse erano relative alla co-sponsorizzazione di alcune attività organizzate nel marzo di quell'anno a Ginevra con uiguri, a cui avevano partecipato anche tibetani, mongoli, rappresentanti della Manciuria, falungong e a intellettuali critici del regime di Pechino che vivono all'estero. Anche io avevo preso la parola alla cerimonia di apertura.

Non appena ricevuta la notizia Marco Panella e Niccolò Figà-Talamanca son volati a New York alla ricerca di un'interlocuzione con la Cina nel momento in cui era stata comunicata una loro "minaccia" di sanzione. Pechino aveva fatto sapere in via confidenziale all'Ambasciatore Ragaglini e ai suoi collaboratori che i Radicali erano di nuovo entrati nell'occhio del ciclone alle Nazinoi unite e che sarebbe stato chiesto loro l'impegno di non promuovere più alcune delle iniziative che negli anni erano state portate avanti con il Dalai Lama e Rebya Kadeer perché ritenute attività a sostegno di gruppi secessionisti che mettono in dubbio la sovranità territoriale della Repubblica Popolare Cinese.

Niente di più lontano da quanto i due leader delle comunità tibetane e uigure chiedono né, naturalmente, niente di più lontano da quanto un Partito federalista, e federalista europeo, come il Partito Radicale propone da anni per consentire il rispetto dei diritti umani e la promozione dello Stato di Diritto democratico. Nel rispondere alla preoccupazioni cinesi a nome del Partito Radicale, Pannella ha tenuto a specificare e a informare Pechino di quale sia la storica proposta politica dei Radicali: operare con una proposta positiva che non sia l'affermazione di un'indipendenza, o tante piccole indipendenze, ma di una riforma più ampia che promuova i diritti individuali che siano goduti non in virtù dell'esistenza di una sovranità nazionale assoluta ma grazie al rispetto dello Stato di Diritto internazionale. Quello Stato di Diritto internazionale che si articola in decine di trattati che codificano i diritti umani storicamente conquistati con lotte nazionali e transnazionali spesso, per l'appunto, nonviolente.

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Sunday, March 23, 2014

dal Capitolo 2 di @operazionidigov, come @radicalparty ha sconfitto la Russia di Putin all'ONU

Fin dai tempi dell'Urss il Partito radicale aveva stretto rapporti con intellettuali e politici che coraggiosamente e pacificamente avevano manifestato il proprio dissenso al regime sovietico. Molti furono ad esempio i refusnik che riuscimmo a salvare dalle persecuzioni di un sistema che di lì a poco sarebbe scomparso. Alla caduta del Muro di Berlino i radicali furono tra i primi a occuparsi del futuro delle ex-repubbliche sovietiche e, di lì a poco, anche dei loro satelliti, primi fra tutti quelli nei Balcani.

Forte di una straordinaria campagna di iscrizioni che coinvolse oltre quarantamila mila persone e centinaia di parlamentari, all'inizio degli anni Novanta il Partito Radicale riuscì ad aprire uffici in una ventina di paesi dell'Europa dell'est e a raggiungere i propri iscritti e simpatizzanti con una pubblicazione, "Il Partito Nuovo" che veniva stampato in diciotto lingue. La novità di quel soggetto politico transnazionale e trans-partitico risiedeva nel voler coniugare la promozione di specifiche riforme costituzionali di chiaro stampo liberal-democratico a questioni più generali, come la necessità di abolire la pena di morte, per evitare che la giustizia sommaria, sempre in agguato in periodi di transizione, avesse il sopravvento sullo Stato di Diritto. Allo stesso tempo, sempre in quegli anni, si gettavano le basi per la creazione di una giurisdizione ad hoc che assicurasse i responsabili del conflitto jugoslavo a una giustizia che fosse giusta e imparziale. Per il Partito Radicale, il partito dello Stato di Diritto, il rispetto delle regole è sempre stato di fondamentale importanza tanto per gli amici quanto per gli avversari.

Nella primavera del 2000 si stava consumando l'ultimo capitolo di uno dei conflitti più drammatici e tragici – e mistificati - dell'Europa moderna, quello in Cecenia. A poco era valso l'accordo di pace di tre anni prima tra Mosca e Groznyj, dalla fine del 1999 nel Caucaso si sparava senza risparmiare la popolazione civile. Per quanto la Commissione europea, il Consiglio d'Europa e gli Usa fossero stati categorici nel denunciare le violazioni dei diritti umani nella regione, non fu possibile creare le condizioni politiche per la ricerca di una pace negoziata né, purtroppo, per evitare che decine di migliaia di civili, e fra questi moltissime donne e bambini, cadessero vittime della guerra.

Saturday, March 22, 2014

Leggi perché anche @capezzone appare in @operazionidigov come @radicalparty ha sconfitto la Russia di Putin all'Onu

Daniele Capezzone:
Buonasera agli ascoltatori di Radio Radicale, sono le 22.35 del 18 ottobre. In studio Daniele Capezzone per il consueto appuntamento serale, che stasera non sarà però affatto consueto. In questo momento la madre di Antonio Russo sta volando da Roma a Tbilisi per recuperare la salma del figlio, la salma di Antonio. La signora Russo è accompagnata da Marino Busdachin e dal segretario del Partito Radicale Transnazionale Olivier Dupuis. Contemporaneamente, ad alcune migliaia di chilometri di distanza, i delegati di cinquantaquattro paesi membri dell’Ecosoc, del Consiglio economico e sociale dell’Onu, stanno per decidere sulla sorte – sull’estromissione o no, sulla sospensione per tre anni dall’Onu o no – del partito di Antonio Russo, del Partito Radicale Transnazionale. Questa sera abbiamo iniziato prima perché tenteremo un esperimento radiofonico vero e proprio: ci collegheremo con Marco Perduca, rappresentante del Partito Radicale all’Onu, che si trova con il suo cellulare all’interno dell’aula dove l’Ecosoc si sta riunendo. Cercheremo di fare una sorta di radiocronaca in diretta di quello che sta per succedere. Da quanto abbiamo capito, sono stati esauriti i tre punti precedenti all’ordine del giorno. Il prossimo è il Partito Radicale. Cerchiamo subito di capire qualcosa di più da Marco Perduca che dovrebbe già essere in collegamento con noi. Marco, ci senti?

Marco Perduca:
[A voce molto bassa] Ciao Daniele, un saluto agli ascoltatori. Chiedo scusa per la qualità del suono, ma siamo nel sottosuolo delle Nazioni Unite, dove, come dicevi tu, si sta tenendo la riunione finale dell’Ecosoc relativamente alla questione dell’espulsione del Partito Radicale Transnazionale.

Capezzone:
Allora, si sta già passando al punto che riguarda il Partito Radicale?

dalla presentazione di "Operazione Idigov, come @radicalparty ha sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni unite nel 2000"

Presentazione e ringraziamenti

Ho deciso di rompere gli indugi e scrivere, finalmente, questo libro dopo che il Professor Mauro Politi, all'epoca giudice della Corte penale internazionale, mi fece dono del volumetto L'Italia all'ONU a cura di Ranieri Tallarigo uscito nel 2007 per i tipi di Rubettino.

Quella raccolta di testimonianze di diplomatici parla dei successi della Rappresentanza permanente d'Italia presso le Nazioni unite dal 1993 al 1999.  L'artefice di quello straordinario ed efficace gioco di squadra fu l'Ambasciatore Francesco Paolo Fulci che riuscí a vincere 27 delle 28 elezioni a cui fu candidato un nostro connazionale perdendo una sola volta per un voto.

Nella prefazione de l'Italia all'ONU l'Ambasciatore Tallarigo scrive che “ce n’è abbastanza perché il tutto venga considerato una sorta di 'manuale di servizio' di diplomazia multilaterale a valere soprattutto per i più giovani colleghi che operano ed opereranno in un difficile 'posto' come quello di New York, all'ONU”. Un auspicio ripetuto più avanti da Fulci stesso che nella sua introduzione chiarisce “l'intento [del libro] è soltanto ripercorrere un'esperienza per offrire a quanti avranno l'opportunità di servire nel quadro societario – sopratutto ai funzionari più giovani – un esempio dei metodi adottati e dei risultati concreti che una team diplomacy, fortemente motivata, è in grado di conseguire al servizio del Paese”.


[segue]

Friday, March 21, 2014

Dall'introduzione di @emmabonino a "Operazione Idigov" di @perdukistan

E' raro che escano libri sul Partito Radicale, è molto raro che vengano scritti da un radicale, ma è ancor più raro che questi affrontino le attività che il Partito ha portato avanti in seno alle Nazioni Unite. Eppure, negli ultimi trenta  anni, il Partito Radicale, che oggi ha aggiunto formalmente al proprio nome i tre aggettivi che lo caratterizzano per metodo di lotta, fronti e composizione e cioè nonviolento, transnazionale e trans-partito, ha contribuito in modo sostanziale all'avanzamento della protezione e affermazione dei diritti umani in molte aree del mondo legando situazioni specifiche alla promozione di riforme dello Stato di Diritto a livello internazionale.

Nel 1995 l’Onu riconobbe il contributo radicale agli affari internazionali conferendo al Partito l'affiliazione di prima categoria al Consiglio economico e sociale (Ecosoc). Da allora tutte le campagne transnazionali dei radicali sono confluite alle Nazioni Unite grazie proprio a quello status consultivo - un’opportunità in più per coinvolgere Stati e altre Ong su obiettivi specifici. Che si trattasse dell'abolizione della pena di morte attraverso una Moratoria Universale delle esecuzioni capitali piuttosto che la creazione dei Tribunali ad hoc per l'ex-Jugoslavia o il Ruanda oppure l'istituzione della Corte penale internazionale o ancora la messa al bando delle Mutilazioni Genitali Femminili, il Partito Radicale e le sue associazioni costituenti sono riuscite a instaurare e consolidare un proficuo rapporto diretto col Palazzo di Vetro e le sue agenzie. I risultati, tutt'altro che scontati, sono poi puntualmente arrivati.

La vicenda narrata in questo libro non ripercorre però quelle campagne storiche ma ricorda, tra le altre cose, come i radicali siano riusciti a divenire a livello transnazionale quello che in Italia erano stati per anni: un partito di servizio. Un partito di servizio per le lotte, le denunce e le proposte di altri oltre che per altri. Lotte, denunce e proposte chiaramente nonviolente e per la conquista di Diritto e diritti per tutti.


[segue]

Su Wei Jinsheng da "Operazione Idigov, come il @partitoradicale sconfisse la Russia di Putin alle Nazioni unite nel 2000"


Wei Jinsheng fuma come una ciminiera. Anzi fuma, o almeno fumava, come Marco Pannella, Emma Bonino e Olivier Dupuis messi insieme. Sarà stato il jetlag, sarà stata la tensione, sarà stata la possibilità di assaporare finalmente delle Marlboro non made in China, fatto sta che per parlarci con la calma necessaria per articolare un discorso complesso bisognava appartarsi nella puzzolentissima zona fumatori del caffé del Palais des Nations. E meno male che almeno c’era quello spazio. L’alternativa, infatti, sarebbe stata conferire nel parcheggio dei tassisti turchi fuori dall’edificio centrale dove, proverbialmente tutti hanno sempre una sigaretta in bocca. Io odio il fumo.

Wei Jinsheng era un fiume in piena quando parlava. La povera Ciping, che sicuramente conosceva a memoria i racconti, le denunce e anche gli aneddoti del suo capo e leader, traduceva tutto con appassionata velocità, concedendosi ogni tanto qualche chiosa per rendere meno intricata la matassa dei racconti di Wei zeppi di nomi e cognomi cinesi che a me sembravano tutti uguali.

Ottenuta la libertà condizionale nel 1993, Wei aveva iniziato a darsi da fare per raccogliere soldi in aiuto delle famiglie dei parenti delle vittime di Tienanmen. Questa sua opera di solidarietà non solo fu bloccata qualche mese dopo, ma gli costò l’accusa di finanziamento ad attività sovversive e un nuovo arresto nel 1995.

Il punto sul quale Wei avrebbe preso la parola era quello relativo ai diritti dei lavoratori. Come spesso ci accadeva, dopo un’introduzione che corrispondeva al tema sul quale si era chiesta la parola, suggerivamo che l’oratore si concentrasse su tutt’altro. Aderire al titolo dell’intervento per qualche riga serviva solo a non farsi togliere la parola dalla presidenza per ‘estraneità di materia’. Dopo un paio di critiche circa i diritti lavorali in Cina, Wei affrontò, per l’appunto, il tabù del massacro di piazza Tienanmen. Fece esplicito riferimento ad alcuni parenti di studenti e giovani operai rimasti uccisi durante le manifestazioni del 4 giugno 1989. Secondo Wei, per anni le famiglie di chi aveva preso parte a quelle dimostrazioni erano state discriminate se non maltrattate dalle autorità cinesi per le scelte dei propri figli.

Nel suo lungo intervento, Wei denunciò anche un episodio increscioso occorso qualche giorno prima proprio alle Nazioni Unite di Ginevra. Alcuni diplomatici cinesi avevano infatti chiamato la sicurezza dell’Onu per far cacciare una rappresentanza di parenti della vittime di Tienanmen che stavano consegnando un dossier sulle condizioni di prigionia imposte ai loro figli dopo le manifestazioni del 1989 alle varie delegazioni, ivi compresa quella della Repubblica Popolare Cinese. Di quella delegazione mi ero dovuto occupare anche io perché, naturalmente, era entrata al Palais des Nations grazie al badge del Partito Radicale Transnazionale. Malgrado la denuncia dell’incidente, anche l’intervento di Wei non suscitò alcuna reazione governativa.

Se la diplomazia cinese faceva finta che Wei non fosse Wei – anzi, che Wei non fosse a Ginevra – le sue conferenze stampa erano sempre partecipatissime e fruttuose, almeno per lui. La Tribune de Génève gli dedicò la prima pagina, senza però ricordare che era lì a nome e per conto del Partito Radicale, e sue interviste apparvero un po’ dappertutto sulla stampa e le tv di mezzo mondo. Dopo la sorpresa dell'arrivo di Wei e i parenti delle vittime, accreditate col giochino della cancellazione dei nomi e la sostituzione all'ultimo minuto, mi fu detto che la delegazione cinese aveva rafforzato il controllo al villino degli accrediti. Giunti dove eravamo, solo l’arrivo del Dalai Lama in persona avrebbe potuto irritare maggiormente Pechino. Offrii il pranzo alla bionda spagnola per ringraziarla.

Cosa succede a non ascoltare il @radicalparty a @UN, tratto da "Operazione Idigov"


Cinquantaseiesima sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, 11 Aprile 2000
Dibattito aperto sul rapporto dell’Alto commissario sulla situazione in Cecenia
Intervento orale del Prt
Pronunciato dall’onorevole Akhyad Idigov

Signor Presidente,

intervengo a nome del Partito Radicale Transnazionale a seguito della recente visita dell’Alto commissario in Russia e nella Repubblica cecena di Ichkeria.

Con la visita del commissario Robinson la gravità delle violazioni russe del diritto internazionale in questo angolo d’Europa è finalmente diventata evidente al mondo intero. La durata – dal 1991 – e l’estensione di questo processo hanno ormai assunto una dimensione pericolosissima. Per motivi etnici i ceceni vengono perseguitati in tutta la Federazione russa, mentre in terra cecena essi vengono semplicemente uccisi senza processo, oppure con pesanti bombardamenti di interi villaggi.

La Russia, degno successore dell’Unione Sovietica, continua l’epopea di sangue che iniziò in Afghanistan, passando poi per la Lituania, il Nagorno Karabakh, l’Azerbaigian, il Kazakistan, la valle di Fergana, la Georgia, il Tagikistan, la Moldavia, l’Abkazia, l’Inguscezia, fino ad arrivare alla Cecenia… La lista continuerà ad andare avanti se non saranno adottare misure a livello internazionale per porvi fine.   

Sin dal 1991 la comunità internazionale è rimasta silente di fronte a tanta violenza consentendo all’assenza di stato di diritto di prevalere in quest’area del mondo. Quante altre vittime innocenti dovranno morire? Quante altre lacrime dovranno essere versate da bambini e donne che hanno perso case e famiglia? I ceceni vengono anche privati del diritto allo status di rifugiato nonché alla libertà di movimento ovunque, inclusa l’Europa.

La guerra indiscriminata e le operazioni di pulizia etnica condotte contro i ceceni dalla Russia possono solo essere descritte in termini di genocidio. Occorre una reazione appropriata da parte della comunità internazionale.

Signor Presidente,

Il diritto dei ceceni all’autodeterminazione è un elemento fondamentale per la stabilità e la pace del Caucaso. Non possiamo non affrontare questa questione cruciale, che si nasconde dietro tutte le azioni della Russia contro la Repubblica cecena di Ichkeria e la sua popolazione.

Dal 1991, in linea con il diritto internazionale, le leggi dell’Unione Sovietica e della Federazione russa, nonché nel rispetto della dichiarazione sulla sovranità statale del 12 giugno 1990, la Cecenia ha fatto uso del diritto a formare un proprio stato come hanno fatto altri paesi ex sovietici di recente indipendenza.    

[La delegazione della russa interrompe l’intervento lamentando che la Cecenia è una repubblica della Federazione russa]

Ciò è stato fatto con l’obiettivo di garantire, attraverso la comunità internazionale, la sicurezza per la popolazione cecena, una sicurezza negata dalla Russia per quattrocento anni con deportazioni periodiche e guerre ogni quaranta-cinquant’anni. Tale diritto dei ceceni viene ancora oggi negato e, se ciò dovesse continuare, potrebbe condurre soltanto al completo annientamento della popolazione cecena.

Occorre ricordare che il 12 maggio 1997, al termine dell’ultima guerra russo-cecena del 1994-1996, la Russia firmò un trattato di pace e coesistenza con la Repubblica cecena di Ichkeria. Il principio cardine di tale accordo era la costruzione di relazioni bilaterali sulla base del diritto internazionale. La Russia ha subito violato i termini di quell’accordo che pure aveva firmato isolando la Cecenia dal resto del mondo e creando le condizioni per lo sviluppo della situazione a cui assistiamo oggi.

Le autorità russe hanno fatto del loro meglio per fomentare la paura presso i popoli che vivono all’interno dei propri confini. Per giustificare la guerra contro i ceceni, per vincere le elezioni presidenziali del 2000 e per minare gli interessi economici dei paesi occidentali che tentavano di bypassare Mosca si è sempre utilizzato il pretesto della lotta al terrorismo.

Signor Presidente,

al fine di ottenere la pace è fondamentale che i negoziati tra le parti abbiano inizio sotto stretto monitoraggio internazionale a garanzia degli accordi raggiunti. Per poter essere efficaci tutto deve avvenire tra le autorità cecene legalmente elette nel 1997 sotto la leadership del Presidente Aslan Maskhadov e Mosca. Ogni altra soluzione non rispetterebbe la volontà del popolo ceceno e sarebbe destinata al fallimento.