Introduzione di
Emma Bonino a “Operazione Idigov, come il Partito Radicale ha
sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni unite”, il primo libro di
Marco Perduca
Per comparare
"Operazione Idigov
come il Partito Radicala ha sconfitto
la Russia di Putin alle Nazioni Unite"
È raro che
escano libri sul Partito Radicale, è molto raro che vengano scritti
da un radicale, ma è ancor più raro che questi affrontino le
attività che il Partito ha portato avanti in seno alle Nazioni
Unite. Eppure, negli ultimi trent’anni, il Partito Radicale, che
oggi ha aggiunto formalmente al proprio nome i tre aggettivi che lo
caratterizzano per metodo di lotta, fronti e composizione – e cioè
nonviolento, transnazionale e transpartito –, ha contribuito in
modo sostanziale all’avanzamento della protezione e affermazione
dei diritti umani in molte aree del mondo legando situazioni
specifiche alla promozione di riforme dello Stato di Diritto a
livello internazionale.
Nel 1995 l’Onu
riconobbe il contributo radicale agli affari internazionali
conferendo al Partito l’affiliazione di prima categoria al
Consiglio economico e sociale (Ecosoc). Da allora tutte le campagne
transnazionali dei radicali sono confluite alle Nazioni Unite grazie
proprio a quello status consultivo – un’opportunità in più per
coinvolgere Stati e altre Ong su obiettivi specifici. Che si
trattasse dell’abolizione della pena di morte attraverso una
Moratoria Universale delle esecuzioni capitali piuttosto che la
creazione dei Tribunali ad hoc per l’ex-Jugoslavia o il Ruanda,
oppure l’istituzione della Corte penale internazionale o ancora la
messa al bando delle Mutilazioni Genitali Femminili, il Partito
Radicale e le sue associazioni costituenti sono riuscite a instaurare
e consolidare un proficuo rapporto diretto col Palazzo di Vetro e le
sue agenzie. I risultati, tutt’altro che scontati, sono poi
puntualmente arrivati.
La vicenda
narrata in questo libro non ripercorre però quelle campagne storiche
ma ricorda, tra le altre cose, come i radicali siano riusciti a
divenire a livello transnazionale quello che in Italia erano stati
per anni: un partito di servizio. Un partito di servizio per le
lotte, le denunce e le proposte di altri oltre che per altri. Lotte,
denunce e proposte chiaramente nonviolente e per la conquista di
Diritto e diritti per tutti.
Fin dai tempi
dell’Urss il Partito Radicale aveva stretto rapporti con
intellettuali e politici che coraggiosamente e pacificamente ave¬vano
manifestato il proprio dissenso al regime sovietico. Molti furono ad
esempio i refuznik che riuscimmo a salvare dalle persecuzioni di un
sistema che di lì a poco sarebbe scomparso. Alla caduta del Muro di
Berlino i radicali furono tra i primi a occuparsi del futuro delle
ex-repubbliche sovietiche e, di lì a poco, anche dei loro
satelliti, primi fra tutti quelli nei Balcani.
Forte di una
straordinaria campagna di iscrizioni che coinvolse oltre quarantamila
mila persone e centinaia di parlamentari, all’inizio degli anni
Novanta il Partito Radicale riuscì ad aprire uffici in una ventina
di paesi dell’Europa dell’est e a raggiungere i propri iscritti e
simpatizzanti con una pubblicazione, “Il Partito Nuovo”, che
veniva stampato in diciotto lingue. La novità di quel soggetto
politico transnazionale e trans¬partitico risiedeva nel voler
coniugare la promozione di specifiche riforme costituzionali di
chiaro stampo liberal-democratico a questioni più generali, come la
necessità di abolire la pena di morte, per evitare che la giustizia
sommaria, sempre in agguato in periodi di transizione, avesse il
sopravvento sullo Stato di Diritto. Allo stesso tempo, sempre in
quegli anni, si gettavano le basi per la creazione di una
giurisdizione ad hoc che assicurasse i responsabili del conflitto
jugoslavo a una giustizia che fosse giusta e imparziale. Per il
Partito Radicale, il partito dello Stato di Diritto, il rispetto
delle regole è sempre stato di fondamentale importanza tanto per gli
amici quanto per gli avversari.
Nella primavera
del 2000 si stava consumando l’ultimo capitolo di uno dei conflitti
più drammatici e tragici – e mistificati – del-l’Europa
moderna, quello in Cecenia. A poco era valso l’accordo di pace di
tre anni prima tra Mosca e Groznyj, dalla fine del 1999 nel Caucaso
si sparava senza risparmiare la popolazione civile. Per quanto la
Commissione europea, il Consiglio d’Europa e gli Usa fossero stati
categorici nel denunciare le violazioni dei diritti umani nella
regione, non fu possibile creare le condizioni politiche per la
ricerca di una pace negoziata né, purtroppo, per evitare che decine
di migliaia di civili, e fra questi moltissime donne e bambini,
cadessero vittime della guerra.
Per non lasciare
niente di intentato, consci dei rischi che ciò poteva comportare, fu
deciso di sostenere l’opera politica di quei pochi ceceni che
parevano aver fatto proprio lo slogan radicale “non c’è pace
senza giustizia”. Il Partito Radicale decise di invitare a Ginevra
un parlamentare ceceno – eletto sotto la supervisione
dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
nel 1997 – al fine di farlo entrare in contatto con la comunità
internazionale e proporre l’avvio di un negoziato di pace da
tenersi sotto l’egida di quelle organizzazioni regionali e
internazionali che si erano attivate sul conflitto caucasico.
La partecipazione
dell’iscritto radicale Akhyad Idigov alla Commissione diritti umani
di Ginevra del 2000 contribuì, in modo so-stanziale, all’apertura
di quel dibattito che l’allora Alto commissario Mary Robinson aveva
cercato di suscitare per coinvolgere le parti nella ricerca della
fine delle ostilità. Come spesso accade, quando la realtà sul campo
viene raccontata dai diretti interessati piuttosto che da esperti o
commentatori, le reazioni furono forti. Questo libro racconta tanto
le azioni quanto le reazioni di molti dei soggetti coinvolti in quel
conflitto.
Nel commentare a
caldo il voto che la notte del 18 ottobre 2000 non ratificò la
proposta della Federazione russa di sanzionare il Partito Radicale, a
Radio Radicale dissi che aveva “vinto la verità, soprattutto la
verità di quello che siamo e di quello che a partire da oggi, a
maggior ragione, vogliamo continuare ad essere”. Il Partito
Radicale, che aveva svolto un ruolo cruciale perché Slobodan
Milosevic fosse prima incriminato e poi trasferito all’Aia per
essere pro¬cessato per le responsabilità nella guerra jugoslava –
cosa puntualmente avvenuta proprio nel 2000 – ha poi dedicato buona
parte delle proprie risorse umane e finanziare per suscitare le
sessanta ratifiche necessarie a far entrare in vigore lo Statuto di
Roma della Corte penale internazionale, obiettivo raggiunto nel
luglio 2002; non ha smesso di operare in mezzo mondo affinché
l’Assemblea generale facesse propria la prospettiva strategica
della promozione di una Moratoria Universale delle esecuzioni
capitali per cancellare le pena di morte dai codici penali di tutto
il mondo, successo ottenuto nel 2007; ha in¬fine agito per la
definitiva messa al bando delle mutilazioni genitali femminili con
una proclamazione solenne del Palazzo di Vetro, avvenuta
all’unanimità degli Stati membri dell’Onu nel 2012.
Il Partito
Radicale ha continuato quindi a fare quello che ha sempre fatto in
Italia e nel mondo: iniziative politiche su obiettivi concreti con il
coinvolgimento di compagni di strada tra i più disparati e
disperati. In questo confronto-contaminazione sono state fatte
conoscere realtà sconosciute e silenziate di mezzo mondo e si è
anche riusciti ad aprire brecce in contesti sociali e politici che
non avevano mai preso in considerazione la nonviolenza,
l’affermazione dei diritti individuali o il federalismo politico e
amministrativo.
Con il voto
dell’ottobre 2000 si concluse una battaglia fatta anche di passi
istituzionali e diplomatici, di chiarezza di posizioni, di
coinvolgimento dell’opinione pubblica, di appelli alla
responsabilità di tutti e ciascuno. Credo che il combinato disposto
dei due settori su cui il Partito Radicale ha sempre lavorato –
quello istituzionale e diplomatico e quello della chiarezza e
rivendicazione delle proprie posizioni – sia stato determinante per
il ribaltamento della proposta di sanzione della Federazione russa.
Quella vittoria
fu, e resta, una vittoria di tutti. Una vittoria molto importante
anche per tutte quelle organizzazioni non-governative, e sono
moltissime, che si occupano di diritti umani. Una vittoria del-la
verità, della trasparenza e del pieno rispetto delle procedure. Una
vittoria anche della capacità di trasformare dei compassati
diplomatici in militanti dei diritti umani e del principio di
legalità e, di converso, di trasformare dei militanti radicali in
misurati diplomatici. Nella scia di quel successo e degli obiettivi
raggiunti successivamente, oggi vedrei con favore la mobilitazione
dell’Italia a sostegno della campagna contro i matrimoni forzati,
un fenomeno diffusissimo in numerose parti del mondo e che riguarda
oltre quattordici milioni di bambine e ragazze sotto i diciotto anni.
Parlare di
Partito Radicale, Nazioni Unite e Cecenia non può non far tornare in
mente Antonio Russo. Anche la vicenda di Antonio è una vicenda che
ruota intorno alla verità. Alla verità che Antonio cercava col suo
lavoro di giornalista di Radio Radicale e di militante del Partito
Radicale, alla verità sulle circostanze della sua morte. Verità che
occorre continuare a cercare sia per la memoria storica del lavoro di
Antonio che per la sua.
Spero che a
questo primo ricordo di presenza del Partito Radicale alle Nazioni
Unite ne possano seguire altri, anche per scongiurare
indietreggiamenti, come accadde pochi anni fa quando il Vietnam
pretese di nuovo una grave sanzione contro di noi e chi si batteva
per i diritti dei popoli indigeni degli Altopiani centrali
vietnamiti. Rivolgo quindi un sincero ringraziamento a Marco Perduca
per aver raccontato un pezzo di storia che meritava di essere
ricordato per l’impatto innovativo che ha avuto su metodi,
procedure e prassi a livello internazionale, e che dovrà continuare
ad esserlo nella sua presente e futura evoluzione del Partito ma
anche delle Nazioni Unite.
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