Friday, July 18, 2014

Recensione de @ilfoglio_it di @operazionidigov "sembra una spy story..."

 Marco Perduca
OPERAZIONE IDIGOV
Reality book, 270 pp., 18 euro

Sembra una spy story da cortina di ferro (a partire dai misteriosi caratteri cirillici che campeggiano sulla copertina), invece è una storia vera, sospesa tra alta diplomazia e cronaca di guerra, dispacci e alti funzionari, monaci buddisti e filantropi cosmopoliti, delegati russi e delegati americani, francesi e tedeschi in combutta, spedizioni nel Caucaso, tè indigesti e ancor più indigeste uova fritte, piccole "war room" fumose, cartine segrete, vecchi telefoni cellulari, messaggi in codice e personaggi enigmatici che compaiono con la loro valigetta sulle rive del lago di Ginevra, a pochi passi da un ufficio delle Nazioni Unite. Siamo nell`anno Duemila, tra New York, la Svizzera e Roma. 

Precisamente in via di Torre Argentina, storica sede del Partito radicale, la cui diramazione extraterritoriale, il Partito radicale internazionale, è protagonista, nel libro, di un caso politico-giuridico che farà scuola: qui si dimostra, tra le pieghe di una complicatissima gestione di un voto all'Onu, come un'organizzazione non governativa possa riuscire, attraverso vicissitudini rocambolesche interne ed esterne al Palazzo di vetro, a sventare l`espulsione dall`Ecosoc, consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, precedentemente chiesta da una grande potenza - in questo caso la Federazione russa - ai tempi della guerra di Cecenia. 

I fatti narrati in prima persona, documentati con lettere, dispacci, radiocronache pirata su Radio Radicale e resoconti dietro le quinte dell'autore (ex senatore radicale nel Pd fino al 2013 ed ex rappresentante radicale all'Onu all'epoca degli eventi in questione), compongono un`inedita fotografia "dall'interno" di vertici internazionali in cui un voto negativo di un paese indeciso, e un impercettibile cambiamento nei rapporti di forza, può significare la messa all'angolo anche mediatica di chi per lavoro, passione, abitudine o fissazione, porta alla ribalta internazionale la voce di minoranze, popoli oppressi e gruppi etnici a rischio di continue violazioni dei diritti umani. Nel girotondo forsennato di quelli che sembrano, lì per lì, a un occhio esterno, dei simpatici "pazzi" che vogliono cambiare il mondo (e fermare l'espulsione dall'Onu da un alberghetto svizzero a due passi dalla stazione, popolato di avventori prodighi di avventure da raccontare), irrompe la corazzata della ragione politica altrui. Che si squarcia all'arrivo delle ultime voci dal fronte, nei giorni più drammatici del conflitto nel Caucaso (a Torre Argentina intanto arriva la notizia della morte in Cecenia del cronista Antonio Russo). 

Il casus belli della vicenda diplomatica, l'intervento in una commissione Onu a Ginevra del parlamentare ceceno Akhyad Idigov, intervento propiziato dai radicali e accolto con silenzi imbarazzati per la denuncia di gravi violazioni di diritti umani in Cecenia, avviene proprio nel momento in cui l'allora alto commissario per i diritti umani Mary Robinson, reduce da un sopralluogo sul campo e da un incidente diplomatico nella Russia di Vladimir Putin, accende un riflettore sulla non sostenibilità della situazione per i civili nel Caucaso. Ma è quello che accade nelle segrete stanze newyorchesi, nel cuore del Palazzo di vetro, tra bisbiglii e incertezze e vertici prevoto, nei corridoi dove chi sa più lingue carpisce la sottigliezza che fa la differenza, a costituire il cuore della vicenda. E' lì, tra freddi esponenti di paesi terzi, nei ricevimenti fintamente mondani, nelle mense dove ci si guarda in cagnesco, che nasce la vera opera di lobbying diplomatica.

Ed è lì che può tornare utile la notte passata da qualche compagno radicale
su una montagna non lontana da Pristina alla fine degli anni Novanta, tra ribelli e informatori, armi e indizi utili a incriminare all'Aia Slobodan Milosevic (ma questa è un'altra storia).

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